Le nuove tecnologie stanno determinando cambiamenti profondi sul lavoro del sindacalista, quasi a traslare il concetto di “nativo digitale” in “sindacalista digitale”. È un concetto sul quale rifletto da qualche tempo . Vero: la comunicazione con la base è l’elemento centrale per un sindacato e, in questa centralità, i nuovi strumenti della comunicazione offrono opportunità da cogliere. Ed è questa, seppure attraverso un percorso accidentato, la direzione verso la quale il sindacato si sta muovendo, sia attraverso i singoli che le “strutture”.
La gran parte dei sindacalisti con la quale mi relaziono è digitale, senza distinzioni generazionali. Chi ha un gap a riguardo ha infatti, l’intelligenza di capire che quel segmento è cruciale ed, eventualmente, da colmare. E su questo sta lavorando. Il sindacalista è immerso nei nuovi media: li utilizza, ne piega l’uso alle sue esigenze e si fa cambiare da questi, per questa via amplia e gestisce la propria rete sociale, sempre di più capisce che c’è una sovrapposizione tra identità digitale, sociale e sindacale.
C’è insomma una sorta di “governo” della disintermediazione che i social media producono. Si registra cioè un protagonismo dei singoli per dare rappresentanza a temi più o meno “collettivi” (penso a situazioni di crisi, di vertenze, di accordi e trattative).
Faccio qualche esempio concreto (e inevitabilmente specifico sulla Funzione Pubblica Cgil). Ogni comparto qui in Fp-Cgil ha costruito specifici gruppi, da whatsapp a telegram, dentro i quali ci troviamo spesso responsabili nazionali, di territorio a più livelli, fino ad arrivare alle Rsu. In questi gruppi si condividono in tempo reale notizie, decisioni, documenti, trattative e altro ancora, secondo un percorso bidirezionale: dal “centro” al lavoratore e viceversa. Si produce per questa via una dinamica di informazione, confronto e azione subitanea e fino a qualche tempo fa impensabile.
Su social come Facebook e Twitter tutti segnano, anche qui, un protagonismo specifico, dialogando spesso con gli opinon leader, gli stakeholder di settore, segmentando al meglio la comunicazione e la (nobile) attività di propaganda. Si interagisce con gli iscritti e i lavoratori, con la cautela dettata dal rischio di “esondazioni verbali” che spesso i social producono (sostengo e diffondo per quanto posso la teoria: “Don’t feed the troll!” ovvero :Alimentare i troll (to feed the troll) è una locuzione utilizzata per indicare il “dare corda” ai provocatori, rispondendo loro ripetutamente e dando loro così nuovo materiale su cui agire. “Per favore non alimentate i troll” (please don’t feed the troll) è perciò un suggerimento comune che gli utenti esperti inviano ai nuovi, quando pensano di aver individuato un troll, al quale l’utente sta involontariamente dando benzina da gettare sul fuoco. ).
I sindacalisti, inevitabilmente tutti, fanno del loro lavoro un bacino di storytelling. Basta dare uno sguardo veloce alle loro “bacheche” per vederli a lavoro. Spesso infatti non si considera a sufficienza che l’attività del sindacalista è totalizzante. Da qui la sovrapposizione tra l’identità digitale e quella sindacale. Così come spesso si sottovaluta, fuori dal mondo sindacale, il difficile lavoro di governo del conflitto, di allargamento del consenso e di ricerca della migliore soluzione possibile. Un’attività che spesso non ha i tempi subitanei dei social ma che richiede tempo e dedizione. Ed è su questo scarto che bisogna lavorare, ma senza cedere all’iperattivismo dei troll.
Alexander White ha ragione: ai sindacalisti va insegnato l’utilizzo delle nuove tecnologie e dei social network come strumento organizzativo (lo spiegava anche De Rita nel libro di Massimo Franchi Il sindacato al tempo della crisi) ma è esattamente il processo che si sta intraprendendo nel sindacato. La Fp-Cgil ne fa un punto dirimente della sua azione, anche attraverso la formazione sui temi strettamente sindacali, dalla contrattazione alla rappresentanza anche e soprattutto col supporto delle nuove tecnologie a tutti i livelli, dal centro nazionale al singolo rappresentante nei luoghi di lavoro .
Quanto invece agli account istituzionali del sindacato, anche qui ci sarebbero esempi da fare sulle modalità specifiche di utilizzo dei social media. Penso al ruolo di hub e di informazione costante della Cgil nazionale, al lavoro di recupero della memoria dello Spi nazionale, ancora, a come ogni singola categoria stia dando preminenza alla comunicazione sui social rispetto agli old media. Pochi esempi recenti: penso alla comunicazione della firma del contratto dei chimici data su Twitter dalla Filctem Cgil, penso a come la Filcams di Milano (e le connessioni con i Fight For 15) stia seguendo la vertenza di McDonald’s, penso a come la Fp di Roma e Lazio abbia segnalato in tempo reale alcune notizie errate.
Ecco, il sindacato su questo fronte sta osando e sperimentando, magari anche sbagliando a volte, scontrandosi però troppo spesso con account di organi di informazione rigidi, chiusi al confronto, forse loro sì spaventati (che fine hanno fatto i “social media editor?”).
Chiudo con un esempio personale, che riguarda la Fp-Cgil nazionale. Come si sa, al momento le cifre per il rinnovo del contratti pubblici ammonterebbero a 200 milioni di euro. Venerdì 16 ottobre, a poche ore dal consiglio dei Ministri sulla manovra, come Fp-Cgil nazionale abbiamo messo in piedi velocemente una campagna sui “miseri” cinque euro di aumento, dietro le parole:#Checifai? con i cinque euro di aumento? #DilloMatteo. In questi giorni registriamo centinaia di condivisioni e interazioni, un rilevante livello di engagement, proprio seguendo quella linea che Brudaglio segnava: partecipazione e coinvolgimento.
Nessuno ha la soluzione in tasca ma siamo tutti, con pregi e difetti, in cammino lungo la strada di un nuovo modo di fare comunicazione, alla ricerca di quel “punto di caduta” (dal vocabolario “sindacalese”) tra un mestiere complesso e faticoso e una comunicazione semplice e veloce “.